Durante i secoli la pianta del mirto è stata utilizzata nei modi più vari. Bisogna far ricorso alle splendide pagine della mitologia greca per trovare i primi riferimenti a questa pianta: fu sacra a Venere, dea dell’Amore, la quale, dopo il giudizio di Paride, si cinse la testa con una corona composta da rametti di mirto intrecciati. La pianta ebbe un utilizzo anche come ornamento presso gli antichi Romani che, insieme ai Greci, ne conoscevano le proprietà medicamentose: dal mirto ricavavano decotti, oli, estratti e pomate con le quali curavano malattie come l’ulcera e alcune affezioni delle vie respiratorie. Nel Medioevo i profumieri ottenevano dai suoi fiori, tramite distillazione, un’essenza chiamata “acqua degli angeli”.
In Sardegna l’utilizzo delle bacche di mirto per la preparazione del liquore risale presumibilmente all’800. L’infuso veniva prodotto in casa per un uso strettamente familiare: in Sardegna si faceva il liquore, mentre nella vicina Corsica il mirto veniva usato come spezia per condire i prodotti di cacciagione.
Nelle famiglie si produceva il vino di mirto dalla macerazione idroalcolica delle bacche mature: si utilizzava una miscela di alcool e acqua o, più probabilmente, acquavite e acqua oppure lo stesso vino. Al termine del periodo di macerazione all’estratto si aggiungeva zucchero o miele per dolcificarlo. Il prodotto era destinato all’autoconsumo e la ricetta era molto semplice: una certa quantità di bacche mature veniva messa in infusione in alcool e acqua, e con un’aggiunta di zucchero o miele come dolcificante si otteneva un liquore dolce, genuino, dalle particolari proprietà stomatiche e digestive. Questa scarna ricetta è ancora oggi utilizzata da alcune aziende produttrici di liquore di mirto.