Pietro Parisi è uno Chef Vesuviano che si è formato alla corte di “mostri sacri” della cucina internazionale, quali Alain Ducasse e Gualtiero Marchesi.
Dopo alcune prestigiose esperienze in Italia, Francia, Svizzera e negli Emirati Arabi al “Burj al-Arab”, nel 2005 apre il suo Ristorante “Era Ora”.
Oggi conosciamo insieme la sua storia.

1) Qual è l’episodio che ha dato vita alla tua passione per il cibo?
Non c’è stato un vero e proprio episodio che ha fatto esplodere in me la passione per il cibo ma sono stati gli ambienti e i luoghi dove sono cresciuto che mi hanno dato la forza di credere che il cibo sia qualcosa da amare e da seguire. Pensate che la mia infanzia è stata tra campi di pomodori e nocciole e la mia colazione era pane e pomodoro. Cosa avrei potuto fare se non il cuoco con dei nonni contadini con il debole della buona tavola?

2) Qual è la ricetta italiana che più ti rappresenta e quali sono i segreti per realizzarla al meglio?
La ricetta italiana più richiesta è lo spaghetto al pomodoro e la pizza forse perché la semplicità a tavola è quella cosa che manca nel mondo e che noi italiani a volte non ci accorgiamo di avere come dote.

3) Quali sono i prodotti Made in Italy indispensabili per la tua cucina?
I prodotti che ho sempre in valigia sono: pomodoro san Marzano, pasta di semola, baccalà, olio extra, colatura di alici e mozzarella di bufala.

4) Qual è invece la tua ricetta (italiana) più richiesta dai tuoi clienti?
Credo che non ci sia una vera ricetta che mi rappresenta, ma dei prodotti che sono indispensabili nelle mie ricette: pomodori, olio extra vergine, baccalà, pane cafone, pasta di semola, pesce povero. Questi elementi formano le mie ricette. Una delle ricette che mi ha dato grande fortuna e visibilità in scala mondiale è la parmigiana di melanzane al vapore in barattolo, una sorta di parmigiana da street food che negli anni ha deliziato i palati di tutto il mondo.

5) Qual è secondo te il più grande luogo comune degli stranieri sulla cucina/sul cibo italiano?
Relativamente al fenomeno “Italian Sounding”, quali potrebbero essere secondo te le soluzioni per combatterlo?

La migliore arma per combattere l’Italian sounding è far capire alla gente che in Italia ci sono artigiani che mettono forza e dignità per mantenere alta la qualità che non sempre riusciamo a difendere. Molte sono le mie battaglie per difendere il Made in Italy all’estero ma purtroppo la strada da fare è ancora tanta e le istituzioni non sempre sono presenti, basta un piccolo escamotage per imitare il vero Made in Italy. Vedo tante contraffazioni e tanti business funzionare solo perché scrivono nomi in italiano quasi sempre sbagliati. L’Italia a una grande potenza del food e bisogna diffondere questa concezione. Soprattutto chi va all’estero a promuovere l’italianità non deve mai cambiare le sorti del vero Made in Italy per fare affari ma deve rimanere fedele, altrimenti fra qualche anno il vero Made in Italy non esisterà più.

6) Quali sono i tuoi progetti futuri?
I miei progetti futuri sono numerosi, non so cosa riuscirò a portar a casa, ma di sicuro uno è quello di far conoscere piccoli produttori nel mondo e dargli i giusti meriti. In Italia ci sono persone che non utilizzano i social ma che lavorano duramente creando ottimi prodotti e che spesso vengono surclassati da prodotti di qualità nettamente inferiore. Di certo il mio impegno è quello di promuovere il vero Made in Italy nel mondo per aiutare gente semplice come era mia nonna Nannina.