Siamo con Camilla Lunelli, responsabile comunicazione e pubbliche relazioni di Cantine Ferrari, che risponderà alle nostro domande e a quelle dei nostri blogger.
1) Se dovesse portare a cena un amico straniero che per la prima volta viene in Italia, quale piatto tipico gli consiglierebbe?
Con un po’ di sano campanilismo gli proporrei un piatto tipico trentino che affonda le radici in un’Italia fatta di stenti ma allo stesso tempo di forza e capacità di adattamento: i canederli, in passato preparati con pane raffermo e che oggi vengono proposti con diverse rivisitazioni da molti Chef. Un altro piatto che mi sento di consigliare a uno straniero un po’ più “curioso” è il Risotto con lo Spumante, nella ricetta del nostro Chef Alfio Ghezzi: lavorato con il seltz di bollicine del nostro Perlè Rosè e con il formaggio erborinato, riesce a mantenere nella composizione finale lo bollicina nel piatto.
2) A suo avviso, quale prodotto Made in Italy non è ancora sufficientemente conosciuto all’estero?
Io credo che la vera ricchezza dell’Italia sia la varietà, e molto spesso sono proprio le nicchie di prodotti legati ai territori d’origine che fanno fatica ad emergere. Penso ad esempio al Montefalco, un vino umbro molto buono, dalla personalità molto forte che sta facendo un duro lavoro per arrivare all’estero.Se penso invece ad una categoria merciologica, tralasciando i “grandi classici”, il formaggio italiano è sicuramente il meno conosciuto in terra straniera, proprio perché anch’esso ha molteplici varietà territoriali che non riescono a fare “sistema Italia” in un mercato straniero.
3) Riguardo al fenomeno dell’Italian Sounding, quali potrebbero essere secondo lei le soluzioni per “combatterlo”?
La questione è molto complessa perché si passa dalla contraffazione, dalla frode – quindi attraverso dei reati che dovrebbero essere soffocati da delle azioni legali – a qualcosa che illegale non è ma fa leva sull’immaginario collettivo del consumatore. In questo caso l’Unione Europea con il WTO dovrebbe assicurarsi di tutelare di più le aziende. Bisogna però dire che molto spesso lo straniero acquista consapevolmente un prodotto che richiama l’italianità ma non è stato fatto in Italia, probabilmente per due motivi: il primo è che molti scandali che hanno coinvolto le aziende italiane hanno fatto sì che un consumatore straniero si senta più tranquillo nell’acquistare un prodotto fatto nel suo paese, il secondo è sicuramente per il costo meno elevato. Inoltre ciò di cui il consumatore straniero necessita è sicuramente informazione, per questo il lavoro che voi fate ogni giorno per noi professionisti del settore è molto importante. Fortunatamente, per quanto riguarda il mondo vino il fenomeno non è così diffuso, probabilmente anche perché da sempre si è riusciti a fare sistema.
Ecco le curiosità di alcuni dei nostri blogger:
The questions of some of our bloggers:
4) Com’è essere donna e ricoprire ruoli così importanti nel mondo enogastronomico? Ci sono difficoltà maggiori rispetto ai colleghi uomini? (Il Cibo delle Coccole)
Questo è un argomento che mi ha sempre fatto molto arrabbiare, non perché io creda nella supremazia femminile, ma perché vorrei un approccio paritario. In qualsiasi ambito lavorativo, la progressione di carriera è molto più difficile per una donna anche e soprattutto per una questione culturale. Il tutto, infatti, viene complicato dal momento in cui si forma una famiglia che secondo l’immaginario collettivo deve essere “gestita” dalla donna, sacrificandola nel lavoro. Le famiglie, i figli, iniziano dall’unione di due persone e proprio queste dovrebbero avere gli stessi diritti e gli stessi doveri. Per quanto riguarda il mondo dell’enogastronomia. a mio avviso, l’approccio è pressoché paradossale. Nel food a livello domestico la donna è la protagonista indiscussa della cucina, in ambito professionale vediamo come le Chef donne siano ancora in un numero ridotto rispetto agli uomini. Per il vino è leggermente diverso, proprio perché a livello domestico e tradizionale è sempre stato un mondo prettamente maschile. Oggi il 30% delle cantine vitivinicole sono gestite da donne, che hanno più facilità a comunicare il prodotto (vino, grappe, distillati) alle altre donne, avvicinandole a questo mondo.
5) Qual è, se c’è, un vigneto al quale è particolarmente affezionata? E perché? (Rosso In Cucina)
In realtà sono legata a due vigneti in particolare: il vigneto di Maso Pianizza da cui otteniamo il nostro Giulio Ferrari, e il vigneto di Villa Margon, che termina con una parete montuosa e circonda la splendida Villa Margon. In particolare nel terreno sopra alla Villa, abbiamo realizzato un vigneto biologico – gli altri sono in conversione biologica – che rappresenta per noi un progetto molto importante e molto significativo anche se i risultati non saranno nell’immediato ma a lungo termine.
6) Su cosa ha puntato per promuovere il Ferrari, spumante d’eccellenza italiano, in concorrenza con quelli francesi, primo fra tutti il Dom Perignon? (Rosso in Cucina)
Diciamo che i fattori sono molto diversi. Prima di tutto a noi è sempre interessato comunicare ciò che realmente sta nel bicchiere, la qualità intrinseca del prodotto stesso. Il tutto unito all’elemento distintivo che è la nostra identità italiana, legata al Trentino e alla viticoltura di montagna. Noi utilizziamo solo uve di nostri vigneti o di vigneti che vengono controllati dai nostri agronomi. Si tratta di vigneti di montagna, caratteristica che permette al prodotto finale di avere una forte longevità che non altera ma anzi migliora la qualità del prodotto stesso. Inoltre abbiamo sempre cercato di promuovere il nostro lavoro come “l’arte di vivere italiana”, dando un forte messaggio di italianità aperto anche ad altri settori come quello della moda e del design.
7) Si parla di vino, buon vino italiano. Lo si vede sorseggiare nelle trasmissioni TV e consigliato in abbinamento a portate invitanti da grandi chef. Corrisponde ad un reale “bere bene” e “saper bere bene” delle famiglie italiane? (MistoFrigo)
Sì, questo è un fenomeno reale e vi è un dato sul consumo procapite di vino che rispetto agli anni 70 si è dimezzato. Ciò significa che si è passati da un consumo del vino quasi abitudinario e con poca ricerca della qualità, ad consumo meno assiduo ma più consapevole nella ricerca e nella scelta. Oggi si beve meno ma si beve meglio e ciò ha permesso un innalzamento della qualità.