Chef Aurora Mazzucchelli, sarà al nostro 100per100 italian awards a Milano per raccontare la sua passione per i Ravioli.
Qui di seguito, raccontiamo la sua storia e i suoi riconoscimenti.
Aurora Mazzucchelli è nata a Bologna nel 1973 da una famiglia da sempre vocata alla ristorazione, papà cuoco e mamma sfoglina.
Dopo aver frequentato l’istituto alberghiero, nel 1983 entra subito nello staff del ristorante dei genitori. Nel 2000 insieme al fratello Massimo prende le redini del ristorante Marconi iniziando così il suo percorso in cucina, unendo creatività, curiosità e grande personalità ad una costante attenzione ai prodotti del territorio e della tradizione.
Gli anni dal 2002 al 2006 sono quelli delle esperienze nelle cucine dei grandi chef: Herbert Hintner, Gaetano Trovato, Paolo Lopriore e lo chef basco Martin Berasategui. Si dedica inoltre all’approfondimento dell’arte pasticcera con il Maestro Pasticcere Gino Fabbri.
Nel 2008 arriva la prima stella dalla Guida Michelin, a cui seguiranno nel corso degli anni altri importanti riconoscimenti dalle principali guide gastronomiche italiane (L’Espresso, Gambero Rosso, Touring Club e Jeunes Restaurateurs d’Europe).
Nel 2012 viene premiata dal giornalista Paolo Marchi come “Migliore Chef d’Italia” dalla guida Identità Golose.
Dal 2015 fa parte della prestigiosa Associazione Le Soste, che raccoglie una selezione dei migliori ristoranti di cucina italiana nel nostro Paese e nel Mondo.
La sua presenza è molto richiesta nelle più importanti manifestazioni gastronomiche straniere per divulgare la sua cucina e le eccellenze italiane all’estero: viaggia tra Canada, Perù, Svizzera, Spagna e Polonia. In Italia ha cucinato per grandi simboli del made in Italy, come la casa automobilistica Ferrari, il FuoriSalone del Mobile, il Four Season di Milano.
“Nella vita privata come nel lavoro, sono fast a pensare ma slow nel riflettere. Sono due cose diverse. Mi piace sentire l’appartenenza delle cose che vivo, mi piace maturarle, è un modo per spronare me stessa, un lavoro interiore automatico, necessario per capirmi. I piatti che cucino… ho bisogno di sentirli, che abbiano un racconto, ed è un bisogno primario, come respirare.
Infilare la giacca da cuoco è stata una scelta naturale, non l’unica possibilità per il fatto di avere i genitori chef. Dovevo, volevo, ardevo dal bisogno di confrontarmi con ciò con cui vivevo. E questo con cui è diventato per cui. La Cucina. Ecco il bisogno primario: emozionarmi per quello che faccio, ma anche non aver timore di stimoli nuovi, forti, per nutrirmi e poter quindi dare nutrimento agli altri”.